lunedì 4 febbraio 2013

Titolo 2 - MISURE DI CONTRASTO ALLA DISCRIMINAZIONE DI GENERE


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Dal MANIFESTO degli OBIETTIVI IMMEDIATI
Di IOLE NATOLI - con la collaborazione di Adriana Perrotta, Ilaria Tarabella, Teresa Pezzi
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TITOLO 2 - MISURE DI CONTRASTO ALLA DISCRIMINAZIONE DI GENERE
negli ambiti: educativo, lavorativo, di protezione, d'inserimento, giudiziario, politico.

AMBITO SCOLASTICO-EDUCATIVO
PROVVEDIMENTI INDIVIDUATI
1 - Emanazione di linee guida, da parte del MIUR, per l’educazione al rispetto di genere IN TUTTE le scuole, dalla materna alla secondaria superiore, con moduli differenziati per età;
2 - corsi di formazione obbligatori per docenti in tema di educazione al rispetto di genere, affidati a pedagogiste, psicologhe e personale qualificato DEI CENTRI ANTIVIOLENZA, dunque con esperienza specifica in campo;
3 - promozione di progetti sperimentali specifici, con finanziamento pubblico;
4 - emanazione di linee guida per le case di edizioni scolastiche, da parte del MIUR, atte a eliminare la presenza di stereotipi di genere nei libri di testo;
5 - vincolo dell’assenza di stereotipi di genere per l’adozione dei libri di testo nelle scuole di ogni ordine e grado.

INTERVENTI EDUCATIVI SUL TERRITORIO
PROVVEDIMENTI INDIVIDUATI
1 - Campagne a mezzo spot per rendere consapevoli gli uomini già “in bilico” - quelli cioè che pur non essendo incorsi in denunce abbiano già praticato violenza nei confronti di partner o figli - della necessità di ricorrere a un aiuto psicologico.
2 - corsi di formazione per giornalisti, pubblicitari e in genere operatori dei media per l’uso non sessista del linguaggio, nella comunicazione visiva e/o auditiva e/o verbale.
3 - campagne pubblicitarie (spot televisivi, manifesti nelle metropolitane, altro), che veicolino in un'immagine e/o in una frase i concetti di base seguenti: “le donne non sono proprietà che di se stesse”; “chi vuole appropriarsi di una donna incorre in reato”; “non esistono giustificazioni di natura sentimentale agli atti di violenza che sono solo manifestazioni di egoismo, debolezza e fallimento del vivere”.
Sono interventi che si potranno studiare e varare con il coinvolgimento e il coordinamento dei vari Assessorati alle Pari Opportunità di Regioni e Comuni, prevedendo l’interscambio dei diversi progetti realizzati, al fine di un contenimento ragionevole del necessario investimento economico.

LAVORO E PARI OPPORTUNITÀ
Il lavoro è uno dei problemi che limitano la realizzazione delle pari opportunità per le donne. Poiché un’equa distribuzione dei compiti della gestione familiare è un obiettivo da raggiungere e non un fatto acquisito, tenuto conto altresì che l’equa distribuzione non risolve tutti i problemi che assillano una coppia, specialmente se esiste una prole, proponiamo qui alcune misure per garantire il lavoro delle donne e migliorare la gestione bilaterale della vita familiare.

PROVVEDIMENTI INDIVIDUATI
1 - Introduzione del CONGEDO OBBLIGATORIO DI PATERNITÀ interamente retribuito della DURATA PARI a quello previsto per le donne dopo il parto, nel privato e nel pubblico. Ciò perché l’esiguità o l’assenza delle cure paterne nei confronti di figli a partire dalla nascita produce le conseguenze negative seguenti:

a - scarsa assunzione di responsabilità degli uomini e insufficiente sviluppo delle relazione affettiva coi figli, che possono essere considerati fattori non trascurabili della maggiore propensione maschile alla violenza sui bambini e all’infanticidio;

b - maggiore “convenienza” del genere maschile sul femminile per i datori di lavoro, da cui derivano le minori assunzioni di donne.

Il congedo di paternità potrà essere esteso a richiesta dell’interessato, sino a copertura anche di un periodo pari al congedo pre-parto previsto per le donne (con una retribuzione ridotta, la cui misura in percentuale rimane da determinare), in caso di problemi di salute della gestante o qualora siano già presenti altri figli.
L’introduzione dei congedi di paternità qui indicati rischia di determinare un notevole aggravio di spesa per i datori di lavoro, dato che potrebbe rendersi necessario sostituire il lavoratore in congedo con personale a tempo determinato o utilizzare il lavoro straordinario del personale già esistente.
Va valutata dunque la possibilità di istituire un’assicurazione obbligatoria per la maternità e la paternità, che gravi su tutti i lavoratori di un’azienda oltre che sul datore di lavoro e copra quasi integralmente le spese di congedo obbligatorio per l’uno e per l’altro sesso;
2 - istituzione di centri di servizi per la prima infanzia, adeguatamente distribuiti nel territorio;
3 - introduzione di orari lavorativi flessibili, per genitori che abbiano difficoltà a fruire o non dispongano di qualificati servizi pubblici per l'infanzia da 0 a 3 anni;
4 - varo di un programma di incentivi per l'apertura di SPAZI PER L'INFANZIA con servizi educativi IN LOCO, da parte delle singole aziende private. Ciò allo scopo di rendere più conciliabili le attività di lavoro dei genitori con quelle di cura della prole, eliminando o riducendo la necessità di spostamenti difficili e nevrotizzanti, che mettono talvolta a dura prova la necessaria serenità delle famiglie;
5 - incremento di servizi educativi pubblici e qualificati per l'infanzia, gratuiti o a contributo parziale e proporzionato al reddito familiare, anche mediante l'accreditamento di servizi informali che siano analoghi ad iniziative quali quella delle Tagesmutter (mamma di giorno) trentine;
6 - introduzione di una fiscalizzazione positiva per le assunzioni di donne, sino al raggiungimento di una percentuale non inferiore al 50% degli occupati nelle singole aziende private. Non ci appare equo e opportuno, nella fase storica attuale, che siano operate distinzioni tra donne giovani, di mezza età o anziane, in quanto la scorrettezza del costume sociale corrente ha fin qui indotto forzosamente molte donne a rinunciare al lavoro extradomestico o ad abbandonarlo, per dedicarsi alla cura familiare, gravame di cui non hanno subito la conseguente autoesclusione dal mondo del lavoro anche gli uomini;
7 - contrasto urgente con adeguate sanzioni di ogni differenziale retributivo a svantaggio delle donne, le quali spesso, a parità di titoli e posizione lavorativa, percepiscono uno stipendio minore dei colleghi uomini. Ed infatti l'esistenza di un differenziale non soltanto si configura come sfruttamento della lavoratrice, ma anche è causa determinante della rinuncia o abbandono di cui si è scritto al punto precedente. Se una donna guadagna (o guadagnerà, per minori avanzamenti di carriera) somme inferiori a quelle del suo compagno, sarà sempre lei a rinunciare al lavoro esterno per l'esercizio di cura. Il bilancio economico della famiglia ne soffrirà di meno: a soffrirne in prima persona di più sarà la donna;
8 - sanzioni economiche per le aziende che, nel non rinnovare il contratto a termine di una lavoratrice in stato di gravidanza, assumano però altro personale che sia sostitutivo della stessa;
9 - introduzione per il datore di lavoro l'obbligo di certificare, mediante dichiarazione circostanziata e firmata davanti alla Direzione Territoriale del Lavoro, la non rinnovabilità del contratto alla lavoratrice in stato di gravidanza, per impossibilità economica sopravvenuta o per cessazione dell'utilizzo della figura professionale che la lavoratrice aveva fin lì ricoperto.
Da ciò discende il divieto di assumere, a scadenza di contratto avvenuta e per la durata di almeno cinque mesi, un dipendente con la stessa figura professionale della lavoratrice in gravidanza non riconfermata.
Esula dalla clausola descritta il caso della lavoratrice madre, per la quale ogni contratto in scadenza è prorogato sino al compimento di un anno di vita del figlio/a;
10 - introduzione di incentivi per tutti quei datori di lavoro che prolunghino i contratti in scadenza alle lavoratrici madri per un secondo anno a datare dal parto. A tal fine occorre istituire un Fondo pari a quello per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione di giovani e donne, istituito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e affidato all'INPS per l'anno 2012, che per assunzioni a tempo determinato prevedeva 3mila Euro per ogni assunzione con durata NON inferiore a 12 mesi, fino ad un massimo di dieci contratti per ciascun datore di lavoro.
Tale premio di 3mila euro potrà essere elevato:
- a 4mila euro, quando la durata del contratto a tempo determinato supera i 18 mesi;
- a 6mila euro, se la durata del contratto a tempo determinato supera i 24 mesi.
Il datore di lavoro che stabilizzi la lavoratrice (trasformando il contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato) potrà avvalersi di un contributo pari a 12mila euro, fino ad un massimo di dieci contratti per ciascun datore di lavoro (Fonte: Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2012, decreto interministeriale del 5 ottobre 2012).
Infine, le aziende che prolungheranno i contratti a tempo determinato in scadenza alle lavoratrici madri, secondo le modalità qui proposte, potranno avvalersi di un Marchio di qualità di Responsabilità Sociale d'impresa (RSI: tipologia SA 8000) che si completerà con la programmazione di iniziative pubbliche territoriali, volte alla pubblicizzazione del marchio e a dare visibilità alle aziende che lo hanno acquisito, con l’istituzione di un riconoscimento annuale per le aziende che si saranno distinte per l’attenzione alle tematiche sociali e con l’individuazione di incentivi e sistemi di agevolazione per eventuali affidamenti pubblici ad aziende in possesso del marchio di qualità sociale (come da comunicazione del 25 ottobre 2011 n. 681 della Commissione Europea).

PROTEZIONE DELLE VITTIME DI VIOLENZA E ALTRE FORME DI AIUTO
MISURE SPECIFICHE
1 - Modifica del comma 2 dell'Art. 1 T.U. di pubblica sicurezza. Di conseguenza «Per mezzo dei suoi ufficiali, ed a richiesta delle parti, provvede alla bonaria composizione dei dissidi privati» diviene: «Per mezzo dei suoi ufficiali, ed a richiesta di tutte le parti e non solo di alcune di esse, provvede alla bonaria composizione dei dissidi privati»;
2 - costituzione su tutto il territorio nazionale di Centri Antiviolenza qualificati e debitamente finanziati, per rendere capillare l’assistenza alle donne vittime di violenza;
3 - istituzione degli Albi regionali dei Centri Antiviolenza, da più parti richiesti;
4 - individuazione delle qualifiche e dei criteri di trasparenza personale e associativa necessari per l’icrizione agli Albi;
5 - istituzione della Rete ufficiale dei Centri Antiviolenza;
6 - ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Istanbul 2011), sottoscritta dall’Italia il 27.09.2012;
7 - adozione di piani d’intervento nazionali e regionali durevoli, cui corrispondano finanziamenti costanti.
La maggior parte dei Centri esistenti sopravvive grazie al volontariato femminile. Allo stato attuale vi sono ottimi Centri che ricevono finanziamenti pubblici e ottimi Centri che non ne ricevono, pessimi Centri che li ottengono ugualmente e pessimi Centri che fortunatamente non ne godono. Il risultato è la limitazione delle possibilità d’intervento e il dilagare di sfiducia e discredito, problema che va risolto alla radice.
Occorre disporre dunque di certezze, consistenti nella garanzia fornita dalle qualifiche e dall’integrità etica del personale impiegato nonché dalla sufficienza e regolarità dei finanziamenti, che consentano la copertura delle spese vive e la giusta retribuzione di tutto il personale operativo che si pretende sia qualificato.
A chi affidare la garanzia delle qualifiche, chi dovrà fare formazione?
Sicuramente non strutture di qualsivoglia tipo senza alcuna esperienza in questo campo, ma solamente quei Centri Antiviolenza che siano più anziani e accreditati e pertanto capaci di trasmettere da donna a donna il senso dell'appartenenza di genere e la solidarietà fra le donne, principi ineludibili e fondanti di tale delicatissimo lavoro, che annovera tra gli obiettivi da raggiungere il risanamento delle ferite dell’io e la reintroduzione delle vittime di violenza nell’ambito sociale e lavorativo.
Riteniamo che per essere considerato qualificato un Centro Antiviolenza debba rispondere alle seguenti caratteristiche:
- avere alle spalle almeno 3 anni di curriculum come associazione di promozione dei diritti delle donne;
- disporre di un congruo numero di avvocate, ginecologhe, psicologhe e pedagogiste (che siano iscritte e non esterne, ovvero di puro riferimento);
- avvalersi esclusivamente di operatrici e specialiste che siano state adeguatamente formate;
- garantire criteri di assunzione corrispondenti a quelli vigenti per l’assunzione di insegnanti statali in merito a condanne penali. Ciò per tutto il personale che vi opera, dato il ruolo di responsabilità che compete.
8 - A quanto sopra enunciato occorre aggiungere:
- la costituzione di Centri di Aiuto per uomini “in bilico”, che offrano la possibilità di fruire di aiuto psicologico mirato a coloro che lo richiedano. Tale aiuto deve essere prestato anche nelle carceri a quei soggetti in stato di detenzione che ne formulino richiesta, ma non può costituire mezzo per una riduzione della pena;
- l’istituzione dell’Albo dei Centri di Aiuto per uomini “in bilico” nonché la determinazione di modalità, competenze e criteri per i finanziamenti di tali Centri, non dissimili da quelli enunciati al punto 4.

COMPETENZE DELLE FORZE DELL’ORDINE E ATTIVITÀ GIUDIZIARIA

MISURE SPECIFICHE
1 - Istituzione di corsi di formazione e di aggiornamento obbligatori per le forze dell’Ordine che debbano o possano entrare in contatto con le vittime di violenza.
2 - Incremento numerico della componente femminile delle forze dell’Ordine addette al soccorso delle vittime nonché all’accoglimento delle denunce.
3 - Previsione normativa: i provvedimenti giudiziari (ammonimento e/o allontanamento immediato) devono scattare alla prima denuncia di violenza fisica e/o psicologica. Sin dall’atto della prima denuncia, deve essere immediatamente allertato il centro antiviolenza che sia territorialmente competente.
4 - Aggiornamento della magistratura e Istituzione di Tribunali specifici (come in Spagna), con avvocati e giudici adeguatamente formati in materia.

TUTELA DELLA SALUTE PSICOFISICA DELLE DONNE
INDICAZIONI
1 - Occorre ridare dignità e mezzi ai consultori pubblici esistenti nel territorio e favorire la nascita di altri.
Gli interventi di prevenzione e tutela di salute delle donne sono molteplici e non riguardano solo la fase riproduttiva; le patologie post menopausa, a causa dell'allungamento della vita, rappresentano un grosso problema da affrontare. Bisognerà di conseguenza creare politiche di prevenzione e di cura mirate, da individuare con l’aiuto di specialiste e specialisti di ginecologia e geriatria.
Perché i consultori pubblici funzionino realmente occorre che siano aumentati gli stanziamenti economici, affinché non soltanto se ne possa incrementare il numero ma non vi sia fuga di personale medico, determinata da retribuzioni inadeguate.
2 - Vanno varate opportune misure di contrasto all’obiezione di coscienza, per la salvaguardia della piena applicazione della Legge 194.

INSERIMENTO NEL TERRITORIO DELLE DONNE MIGRANTI

INDICAZIONI
Vanno studiati provvedimenti specifici atti a promuovere l’inserimento di quelle donne migranti, che provengono da taluni Paesi nei quali i diritti e le libertà delle donne non hanno avuto fin qui riconoscimento. È ben noto come a talune immigrate di prima generazione sia spesso impedito da mariti, fratelli e talora anche da madri una partecipazione attiva alla vita sociale nel territorio. Occorre dunque promuovere iniziative atte a coinvolgere le donne migranti che versino in tali condizioni, neutralizzando, con accorgimenti opportuni, le azioni d’impedimento familiare.
Impedire la libertà di frequentazione e socializzazione rappresenta una pratica violenta. Il Dipartimento per le Pari Opportunità - cui un ruolo molto ampio è stato conferito dalla Legge 9 gennaio 2006, n. 7 concernente la prevenzione e il divieto delle pratiche di Mutilazione Genitale Femminile - potrebbe svolgere tramite i Comitati per le Pari Opportunità un’azione efficace e capillare, per garantire alle donne migranti le stesse libertà, pur imperfette, già conquistate dalle donne italiane.

AMBITO POLITICO, contro l’emarginazione delle donne dalla rappresentanza politica e dalle più alte cariche dello Stato

RAPPRESENTANZA POLITICA
Un Paese che emargina le donne NON È un paese democratico.
Da qui la proposta del 50/50 con doppia preferenza di genere nelle liste per una vera e propria democrazia paritaria, da realizzarsi con presentazione di liste che prevedano la stretta alternanza dei generi e un numero di candidature femminili pari al 50% dei candidati.
Nello specifico appare necessario:
1 - presentare un egual numero di donne e di uomini quali capilista;
2 - presentare candidature femminili nel 50% dei collegi ritenuti conquistabili;
3 - promuovere le candidate attraverso adeguate campagne di informazione al fine di favorire la democrazia paritaria;
4 - presentare nei “listini” o nelle liste bloccate candidate e candidati in ordine alternato per favorire la elezione di una consistente percentuale di donne;
5 - far conoscere i criteri di scelta delle candidate e dei candidati;
6 - assicurare nelle tribune elettorali televisive la presenza paritaria delle candidate e dei candidati, nel rispetto delle nuove norme introdotte dall’articolo 4 della legge 215 del 2012 e del regolamento approvato dalla Commissione di vigilanza;
7 - rendere pubblico come sia stata realizzata l’utilizzazione della quota dei rimborsi elettorali, destinata, come prevede la legge n.157/99, a promuovere la presenza delle donne in politica. Rendere pubblici i criteri di scelta e CV di tutte le candidate e i candidati, di qualsiasi partito o movimento o lista (Rif: Accordo di azione comune per la democrazia paritaria).

ALTE CARICHE DELLO STATO
Per un mutamento degli schemi discriminatori che permangono ancora irrisolti nella nostra disturbata cultura, occorre agire e sui cancelli di sbarramento pratici e altresì su tutti i MODELLI SIMBOLICI.
Ciò vale per il linguaggio - che sopprime nei plurali il femminile, eliminando la reale esistenza delle donne in omaggio a una distorta visione maschile del mondo; vale per la cellula familiare, dove tale obiettivo va perseguito in primo luogo attraverso la modifica del cognome della prole; vale per la cellula sociale pià ampia, la COMUNITÀ, che è sostanza del nostro Paese.
Di conseguenza, riteniamo non più rinviabile che Capo dello Stato italiano sia una Donna. Solamente il presupposto discriminativo nei confronti del genere femminile, infatti, può spiegare come mai sino ad oggi, in tanti anni di dichiarata Democrazia, non vi sia stata nemmeno UNA sola donna Presidente della nostra Repubblica.
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Milano, 4.02.2013

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Progetto ed elaborazione del documento:  © Iole Natoli con la collaborazione di Adriana Perrotta, Ilaria Tarabella, Teresa Pezzi
Proposte/Obiettivi di:  Iole Natoli, Adriana Perrotta, Teresa Pezzi, Ilaria Tarabella e di:  Elisabetta Boiti, Alessandra Ciotti, Marcella Corsi, Emanuela Eboli, Barbara Giorgi, Antonella Panetta, Chiara Pesce
Hanno partecipato con discussioni nel gruppo di FB:  Danila Baldo, Luciana Bova, Maria Esposito, Cinzia Marroccoli, Raffaella Mauceri, Maria Grazia Negrini, Ambretta Occhiuzzi, Nadia Ruggieri


L’intero documento è scaricabile in PDF e dal Blog di riferimento e dal seguente indirizzo: https://docs.google.com/file/d/0B3tYvI6kY_0vTG1sQTJNODA3dHc/edit?usp=sharing

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