lunedì 23 giugno 2014

SOCIETÀ MALATE E CRONACA QUOTIDIANA UN FEMMINICIDIO CHE NON È SOLO TALE


SE SI FRANTUMA LO SPECCHIO DEL VIRTUALE
di Iole Natoli
Motta Visconti (Milano), 14 giugno 2014. Carlo Lissi, un tecnico informatico di 31 anni, accoltella ripetutamente la moglie Cristina Omes di 38 anni e subito dopo i due piccoli figli dormienti, di cinque anni e mezzo e di 20 mesi. Inscena una rapina a scopo di depistaggio e si reca in casa di amici per vedere con loro la partita.
Quindi ritorna a casa e chiama il 112 affermando di aver rinvenuto moglie e figli sgozzati.
Poco prima di uccidere Cristina Omes aveva avuto un rapporto intimo con lei.
Sottoposto a interrogatori alla fine confessa, dichiarando di averlo fatto perché non aveva il coraggio  di chiedere la separazione alla moglie e di essere innamorato di un’altra, una collega che lo aveva sempre respinto.

Il magistrato domanda se non sarebbe bastato il divorzio. No, perché restano i figli, risponde.

 
Lo sterminio posto in atto da Carlo Lissi ha portato a varie interpretazioni del gesto omicida e anche a manifestazioni di stupore, per il fatto che, pochi minuti prima di assassinare Cristina Omes, il marito aveva avuto rapporti intimi con lei.
“Com'è possibile?”,  è stata la domanda di molti. Ma non è il piano della possibilità - dimostrata dall’esistenza del fatto - che va indagato, se si va alla ricerca di risposte.
Sicuramente quell’orrore non appare spiegabile se si muove dall'idea di "rapporto sessuale = atto d'amore". Ma se il punto di partenza invece è un altro, ovvero "valore di una persona = valore d'uso", la contraddizione tra l’idea e l’atto si attenua, probabilmente sino a sparire del tutto.
Al valore d’uso degli esseri viventi siamo, dagli albori della “civiltà”, abituati. Uccidiamo gli animali per nutrirci, li sacrifichiamo all’interesse della scienza (più corretto sarebbe dire nostro), ne abbiamo fatto e ancora ne facciamo scempio ai fini di un abbigliamento non necessario, dato che la tecnologia ci ha consegnato altri indumenti altrettanto soffici e caldi, riducendo a pura esibizione di status le pellicce e le pelli.
Il settore lavorativo, per conto suo, abitua all’utilizzo degli umani. In prima linea c’è il vantaggio del datore di lavoro, che si tratti di un singolo o di un gruppo, e a quello si subordina la persona, con qualche ineliminabile paletto. Non si uccide il lavoratore o la lavoratrice direttamente, non proprio; lo si fa tramite l’uso di materiali inquinanti con i quali la persona è a contatto. Che poi questo costituisca un reato torna alla mente solo in occasioni speciali, quali una denuncia, un processo, una sequela di morti per cancro. Se il fenomeno non viene in superficie l’intera società, tranne pochi che in condizioni di sfavore si battono, è disposta a chiudere un occhio. Anche due. Non tre solo per mancanza dell’elemento.
C’è dunque un retroterra culturale che va al di là dei rapporti di coppia. Un retroterra che unito ad altri possibili fattori - o eventualmente quale unica causa - genera quel comportamento di rifiuto dell’altra persona, che porta a sopprimerne l’identità e la fisicità stessa.
Certamente nel caso di Carlo Lissi possiamo parlare, come hanno fatto Vittorino Andreoli e Margherita Spagnuolo Lobb, di personalità anaffettiva, con cui si definisce ciò che comunemente si intende per grave egoismo cui consegua chiusura e cecità. È l’affettività che ci apre all’altro; se essa manca, non si è sviluppata, è bloccata, l’individuo concretamente non “vede”, non coglie la realtà umana dell’amico o del partner, è concentrato solo su se stesso, su un qualche suo desiderio dominante, su un elemento di un universo chiuso, che si affaccia su un vuoto circostante.
Ora, se l’altro - in questo caso l’altra - non ha ai miei occhi un’identità propria, posso affibbiargliene io una di comodo, corrispondente alle mie esigenze più forti. E qui torniamo alla situazione specifica. Quella di un uomo che si è incapricciato - innamorato, egli crede - di un’altra donna, che però non intende ricambiarlo.
Perché allora non usare la propria moglie o compagna, per sognare di far l’amore con lei? In fondo, se la moglie non lo percepisce, la manovra non crea alcun problema. Perlomeno, non dovrebbe crearne, si pensa. Ma non è mai così.
Perfino le canzoni ci ricordano che porre in atto questa possibilità è inappagante, perché la discrepanza tra l'atto immaginato e l'atto reale devasta, dato che l'immagine della persona annidata nella nostra mente e quella della persona che abbracciamo non possono effettivamente coincidere. Basta un gesto, un’espressione del volto, il suono dissonante della voce per ricordarci che no, che non solo quella lì non è l’altra ma che in quell’atto ci siamo persi anche noi. C’è uno iato, un conflitto totale che può solo innescare un disastro.
Se fosse questo quel che ha provato Lissi, allora quella sua rabbia cieca ma non tanto - cieca sul piano affettivo e morale, lucidissima su quello organizzativo e attuativo - non ci apparirebbe più tanto “inspiegabile”.
La delusione terribile e profonda non sarebbe stata quella di sapersi legato a una persona che non si desidera, ma quella più radicale e distruttiva di non aver realizzato nel momento preciso dell’atto sessuale appena compiuto la sostituzione ipotizzata, unica via di fuga per chi, non avendo il coraggio e la correttezza di imbarcarsi in una separazione e in un divorzio, tenta vie di accomodo impossibili.
Da lì la rabbia, la cancellazione dell’identità reale che ne faceva una donna diversa da quella desiderata. Cristina Omes andava radicalmente punita, cancellata, espunta dal vissuto insieme ai figli che, da vivi, avrebbero testimoniato della sua esistenza; per questo dopo il triplice omicidio, è diventato possibile per l’uomo sedersi accanto ad altri per “godere di un’innocua partita di calcio. Tentato alibi, come dimostra il tentativo cosciente di depistaggio posto in atto simulando una rapina, ma anche conseguenza dell’azzeramento, della cancellazione totale dell’evento, della rimozione di una parte di sé, che forse non lo riportava soltanto a prima della strage ma ad un prima più antico, quello del tempo in cui non esisteva ancora per lui una donna chiamata Cristina. Azzeramento che non avrebbe retto a lungo e non solo per gli interrogatori inevitabili, ma perché il principio di realtà, prima o poi, avrebbe infranto il castello fantasmatico.
È esattamente quello che è accaduto, o c'era invece una premeditazione già in corso che ha fatto del rapporto sessuale una verifica, fallita per le ragioni espresse prima? Non è facile dirlo dall'esterno e forse questo nessuno lo saprà mai, al di fuori dello stesso assassino.
Facendo adesso un breve salto di tema, credo che bisognerebbe meditare utilmente sul pensiero espresso da alcuni preti e condiviso da tutta la Chiesa cattolica, in base al quale il divorzio breve in arrivo sarebbe un errore, un attentato alla sicurezza dei figli, bla, bla bla bla e ancora bla. 
Andiamo a dirlo ai due piccoli Lissi. Spieghiamo loro che una cultura diversa, che alleni alla civiltà della riprogettazione quando la strada intrapresa non soddisfa, si configura come un danno per i figli. Se fossero sopravvissuti a quell’eccidio potremmo chiedere il loro parere. Certamente Gabriele, di soli 20 mesi, non ci darebbe nessuna indicazione. Ma forse, Giulia, nel candore dei suoi pochi anni, potrebbe dirci qualcosa di importante.

23.06.2014
© Iole Natoli

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