SE
SI FRANTUMA LO SPECCHIO DEL VIRTUALE
di Iole Natoli
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Motta Visconti (Milano), 14 giugno 2014. Carlo Lissi, un
tecnico informatico di 31 anni, accoltella ripetutamente la moglie Cristina
Omes di 38 anni e subito dopo i due piccoli figli dormienti, di cinque anni e
mezzo e di 20 mesi. Inscena una rapina a scopo di depistaggio e si reca in
casa di amici per vedere con loro la partita.
Quindi ritorna a casa e chiama il
112 affermando di aver rinvenuto moglie e figli sgozzati.
Poco prima di uccidere Cristina
Omes aveva avuto un rapporto intimo con lei.
Sottoposto a interrogatori alla
fine confessa, dichiarando di averlo fatto perché non aveva il coraggio di chiedere la separazione alla moglie
e di essere innamorato di un’altra, una collega che lo aveva sempre respinto.
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Lo sterminio posto in atto da Carlo Lissi ha
portato a varie interpretazioni del gesto omicida e anche a manifestazioni di
stupore, per il fatto che, pochi minuti prima di assassinare Cristina Omes,
il marito aveva avuto rapporti intimi con lei.
“Com'è possibile?”, è stata la domanda di molti. Ma non è il piano della
possibilità - dimostrata dall’esistenza del fatto - che va indagato, se si va
alla ricerca di risposte.
Sicuramente quell’orrore non appare spiegabile
se si muove dall'idea di "rapporto
sessuale = atto d'amore". Ma se il punto di partenza invece è un
altro, ovvero "valore di una
persona = valore d'uso", la contraddizione tra l’idea e l’atto si
attenua, probabilmente sino a sparire del tutto.
Al valore d’uso degli esseri viventi siamo,
dagli albori della “civiltà”, abituati. Uccidiamo gli animali per nutrirci,
li sacrifichiamo all’interesse della scienza (più corretto sarebbe dire
nostro), ne abbiamo fatto e ancora ne facciamo scempio ai fini di un
abbigliamento non necessario, dato che la tecnologia ci ha consegnato altri
indumenti altrettanto soffici e caldi, riducendo a pura esibizione di status le pellicce e le pelli.
Il settore lavorativo, per conto suo, abitua
all’utilizzo degli umani. In prima linea c’è il vantaggio del datore di
lavoro, che si tratti di un singolo o di un gruppo, e a quello si subordina
la persona, con qualche ineliminabile paletto. Non si uccide il lavoratore o
la lavoratrice direttamente, non proprio; lo si fa tramite l’uso di materiali
inquinanti con i quali la persona è a contatto. Che poi questo costituisca un
reato torna alla mente solo in occasioni speciali, quali una denuncia, un
processo, una sequela di morti per cancro. Se il fenomeno non viene in
superficie l’intera società, tranne pochi che in condizioni di sfavore si
battono, è disposta a chiudere un occhio. Anche due. Non tre solo per
mancanza dell’elemento.
C’è dunque un retroterra culturale che va al
di là dei rapporti di coppia. Un retroterra che unito ad altri possibili
fattori - o eventualmente quale unica causa - genera quel comportamento di
rifiuto dell’altra persona, che porta a sopprimerne l’identità e la fisicità
stessa.
Certamente nel caso di Carlo Lissi possiamo
parlare, come hanno fatto Vittorino Andreoli e Margherita Spagnuolo Lobb, di personalità anaffettiva, con cui si definisce ciò che comunemente
si intende per grave egoismo cui consegua chiusura e cecità. È l’affettività
che ci apre all’altro; se essa manca, non si è sviluppata, è bloccata,
l’individuo concretamente non “vede”, non coglie la realtà umana dell’amico o
del partner, è concentrato solo su se stesso, su un qualche suo desiderio
dominante, su un elemento di un universo chiuso, che si affaccia su un vuoto
circostante.
Ora, se l’altro - in questo caso l’altra - non
ha ai miei occhi un’identità propria, posso affibbiargliene io una di comodo,
corrispondente alle mie esigenze più forti. E qui torniamo alla situazione
specifica. Quella di un uomo che si è incapricciato - innamorato, egli crede
- di un’altra donna, che però non intende ricambiarlo.
Perché allora non usare la propria moglie o
compagna, per sognare di far l’amore con lei? In fondo, se la moglie non lo
percepisce, la manovra non crea alcun problema. Perlomeno, non dovrebbe
crearne, si pensa. Ma non è mai così.
Perfino le canzoni ci ricordano che porre in
atto questa possibilità è inappagante, perché la discrepanza tra l'atto
immaginato e l'atto reale devasta, dato che l'immagine della persona annidata
nella nostra mente e quella della persona che abbracciamo non possono
effettivamente coincidere. Basta un gesto, un’espressione del volto, il suono
dissonante della voce per ricordarci che no, che non solo quella lì non è
l’altra ma che in quell’atto ci siamo persi anche noi. C’è uno iato, un
conflitto totale che può solo innescare un disastro.
Se fosse questo quel che ha provato Lissi, allora quella sua rabbia cieca ma non tanto - cieca sul piano affettivo e
morale, lucidissima su quello organizzativo e attuativo - non ci apparirebbe
più tanto “inspiegabile”.
La delusione terribile e profonda non sarebbe
stata quella di sapersi legato a una persona che non si desidera, ma quella
più radicale e distruttiva di non aver realizzato nel momento preciso
dell’atto sessuale appena compiuto la sostituzione ipotizzata, unica via di
fuga per chi, non avendo il coraggio e la correttezza di imbarcarsi in una
separazione e in un divorzio, tenta vie di accomodo impossibili.
Da lì la rabbia, la cancellazione
dell’identità reale che ne faceva una donna diversa da quella desiderata. Cristina Omes andava
radicalmente punita, cancellata, espunta dal vissuto insieme ai figli che, da
vivi, avrebbero testimoniato della sua esistenza; per questo dopo il triplice
omicidio, è diventato possibile per l’uomo sedersi accanto ad altri per
“godere di un’innocua partita di calcio. Tentato alibi, come dimostra il tentativo cosciente di depistaggio posto in atto simulando una rapina, ma anche
conseguenza dell’azzeramento, della cancellazione totale dell’evento, della
rimozione di una parte di sé, che forse non lo riportava soltanto a prima
della strage ma ad un prima più antico, quello del tempo in cui non esisteva
ancora per lui una donna chiamata Cristina. Azzeramento che non avrebbe retto
a lungo e non solo per gli interrogatori inevitabili, ma perché il principio
di realtà, prima o poi, avrebbe infranto il castello fantasmatico.
È esattamente quello che è accaduto, o c'era invece una premeditazione già in corso che ha fatto del rapporto sessuale una verifica, fallita per le ragioni espresse prima? Non è facile dirlo dall'esterno e forse questo nessuno lo saprà mai, al di fuori dello stesso assassino.
Facendo adesso un breve salto di tema, credo
che bisognerebbe meditare utilmente sul pensiero espresso da alcuni preti e
condiviso da tutta la Chiesa cattolica, in base al quale il divorzio breve in
arrivo sarebbe un errore, un attentato alla sicurezza dei figli, bla, bla bla bla e ancora bla.
Andiamo a dirlo ai due piccoli Lissi. Spieghiamo loro che una cultura diversa, che alleni alla civiltà della riprogettazione quando la strada intrapresa non soddisfa, si configura come un danno per i figli. Se fossero sopravvissuti a quell’eccidio potremmo chiedere il loro parere. Certamente Gabriele, di soli 20 mesi, non ci darebbe nessuna indicazione. Ma forse, Giulia, nel candore dei suoi pochi anni, potrebbe dirci qualcosa di importante. |
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23.06.2014
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© Iole Natoli
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Dal gruppo omonimo di FB, nato quale progetto di lavoro per l'elaborazione di proposte politiche
lunedì 23 giugno 2014
SOCIETÀ MALATE E CRONACA QUOTIDIANA UN FEMMINICIDIO CHE NON È SOLO TALE
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