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Dal MANIFESTO degli OBIETTIVI
IMMEDIATI
Di IOLE NATOLI - con la collaborazione di Adriana Perrotta, Ilaria Tarabella, Teresa Pezzi
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TITOLO 2 - MISURE DI CONTRASTO ALLA DISCRIMINAZIONE DI
GENERE
negli ambiti: educativo, lavorativo, di
protezione, d'inserimento, giudiziario, politico.
AMBITO SCOLASTICO-EDUCATIVO
PROVVEDIMENTI INDIVIDUATI
1 - Emanazione di linee guida, da parte
del MIUR, per l’educazione al rispetto di genere IN TUTTE le scuole, dalla
materna alla secondaria superiore, con moduli differenziati per età;
2 - corsi di formazione obbligatori per
docenti in tema di educazione al rispetto di genere, affidati a pedagogiste,
psicologhe e personale qualificato DEI CENTRI ANTIVIOLENZA, dunque con
esperienza specifica in campo;
3 - promozione di progetti sperimentali
specifici, con finanziamento pubblico;
4 - emanazione di linee guida per le
case di edizioni scolastiche, da parte del MIUR, atte a eliminare la presenza
di stereotipi di genere nei libri di testo;
5 - vincolo dell’assenza di stereotipi
di genere per l’adozione dei libri di testo nelle scuole di ogni ordine e
grado.
INTERVENTI EDUCATIVI SUL TERRITORIO
PROVVEDIMENTI INDIVIDUATI
1 - Campagne a mezzo spot per rendere
consapevoli gli uomini già “in bilico” - quelli cioè che pur non essendo
incorsi in denunce abbiano già praticato violenza nei confronti di partner o
figli - della necessità di ricorrere a un aiuto psicologico.
2 - corsi di formazione per
giornalisti, pubblicitari e in genere operatori dei media per l’uso non
sessista del linguaggio, nella comunicazione visiva e/o auditiva e/o verbale.
3 - campagne pubblicitarie (spot
televisivi, manifesti nelle metropolitane, altro), che veicolino in
un'immagine e/o in una frase i concetti di base seguenti: “le donne non sono
proprietà che di se stesse”; “chi vuole appropriarsi di una donna incorre in
reato”; “non esistono giustificazioni di natura sentimentale agli atti di
violenza che sono solo manifestazioni di egoismo, debolezza e fallimento del
vivere”.
Sono interventi che si potranno
studiare e varare con il coinvolgimento e il coordinamento dei vari
Assessorati alle Pari Opportunità di Regioni e Comuni, prevedendo
l’interscambio dei diversi progetti realizzati, al fine di un contenimento
ragionevole del necessario investimento economico.
LAVORO E PARI OPPORTUNITÀ
Il lavoro è uno dei problemi che limitano la realizzazione
delle pari opportunità per le donne. Poiché un’equa distribuzione dei compiti
della gestione familiare è un obiettivo da raggiungere e non un fatto
acquisito, tenuto conto altresì che l’equa distribuzione non risolve tutti i
problemi che assillano una coppia, specialmente se esiste una prole,
proponiamo qui alcune misure per garantire il lavoro delle donne e migliorare
la gestione bilaterale della vita familiare.
PROVVEDIMENTI INDIVIDUATI
1 - Introduzione del CONGEDO OBBLIGATORIO DI PATERNITÀ interamente retribuito della DURATA PARI a quello previsto per le donne dopo il parto, nel privato e nel pubblico. Ciò perché l’esiguità o l’assenza delle cure paterne nei confronti di figli a partire dalla nascita produce le conseguenze negative seguenti:
a - scarsa assunzione di responsabilità degli uomini e
insufficiente sviluppo delle relazione affettiva coi figli, che possono essere
considerati fattori non trascurabili della maggiore propensione maschile alla
violenza sui bambini e all’infanticidio;
b - maggiore “convenienza” del genere maschile sul femminile per
i datori di lavoro, da cui derivano le minori assunzioni di donne.
Il congedo di paternità potrà essere esteso a richiesta dell’interessato,
sino a copertura anche di un periodo pari al congedo pre-parto previsto per le
donne (con una retribuzione ridotta, la cui misura in percentuale rimane da
determinare), in caso di problemi di salute della gestante o qualora siano già
presenti altri figli.
L’introduzione dei congedi di paternità qui indicati rischia di
determinare un notevole aggravio di spesa per i datori di lavoro, dato che
potrebbe rendersi necessario sostituire il lavoratore in congedo con personale
a tempo determinato o utilizzare il lavoro straordinario del personale già
esistente.
Va valutata dunque la possibilità di istituire un’assicurazione
obbligatoria per la maternità e la paternità, che gravi su tutti i lavoratori
di un’azienda oltre che sul datore di lavoro e copra quasi integralmente le
spese di congedo obbligatorio per l’uno e per l’altro sesso;
2 - istituzione di centri di servizi per la prima infanzia, adeguatamente distribuiti nel territorio;
3 - introduzione di orari lavorativi
flessibili, per genitori che abbiano difficoltà a fruire o non dispongano di
qualificati servizi pubblici per l'infanzia da 0 a 3 anni;
4 - varo di un programma di incentivi
per l'apertura di SPAZI PER L'INFANZIA con servizi educativi IN LOCO, da
parte delle singole aziende private. Ciò allo scopo di rendere più
conciliabili le attività di lavoro dei genitori con quelle di cura della
prole, eliminando o riducendo la necessità di spostamenti difficili e
nevrotizzanti, che mettono talvolta a dura prova la necessaria serenità delle
famiglie;
5 - incremento di servizi educativi
pubblici e qualificati per l'infanzia, gratuiti o a contributo parziale e
proporzionato al reddito familiare, anche mediante l'accreditamento di
servizi informali che siano analoghi ad iniziative quali quella delle
Tagesmutter (mamma di giorno) trentine;
6 - introduzione di una fiscalizzazione
positiva per le assunzioni di donne, sino al raggiungimento di una
percentuale non inferiore al 50% degli occupati nelle singole aziende
private. Non ci appare equo e opportuno, nella fase storica attuale, che
siano operate distinzioni tra donne giovani, di mezza età o anziane, in
quanto la scorrettezza del costume sociale corrente ha fin qui indotto
forzosamente molte donne a rinunciare al lavoro extradomestico o ad
abbandonarlo, per dedicarsi alla cura familiare, gravame di cui non hanno
subito la conseguente autoesclusione dal mondo del lavoro anche gli uomini;
7 - contrasto urgente con adeguate
sanzioni di ogni differenziale retributivo a svantaggio delle donne, le quali
spesso, a parità di titoli e posizione lavorativa, percepiscono uno stipendio
minore dei colleghi uomini. Ed infatti l'esistenza di un differenziale non
soltanto si configura come sfruttamento della lavoratrice, ma anche è causa
determinante della rinuncia o abbandono di cui si è scritto al punto
precedente. Se una donna guadagna (o guadagnerà, per minori avanzamenti di
carriera) somme inferiori a quelle del suo compagno, sarà sempre lei a
rinunciare al lavoro esterno per l'esercizio di cura. Il bilancio economico
della famiglia ne soffrirà di meno: a soffrirne in prima persona di più sarà
la donna;
8 - sanzioni economiche per le aziende
che, nel non rinnovare il contratto a termine di una lavoratrice in stato di
gravidanza, assumano però altro personale che sia sostitutivo della stessa;
9 - introduzione per il datore di
lavoro l'obbligo di certificare, mediante dichiarazione circostanziata e
firmata davanti alla Direzione Territoriale del Lavoro, la non rinnovabilità
del contratto alla lavoratrice in stato di gravidanza, per impossibilità
economica sopravvenuta o per cessazione dell'utilizzo della figura
professionale che la lavoratrice aveva fin lì ricoperto.
Da ciò discende il divieto di assumere,
a scadenza di contratto avvenuta e per la durata di almeno cinque mesi, un
dipendente con la stessa figura professionale della lavoratrice in gravidanza
non riconfermata.
Esula dalla clausola descritta il caso
della lavoratrice madre, per la quale ogni contratto in scadenza è prorogato
sino al compimento di un anno di vita del figlio/a;
10 - introduzione di incentivi per tutti
quei datori di lavoro che prolunghino i contratti in scadenza alle
lavoratrici madri per un secondo anno a datare dal parto. A tal fine occorre
istituire un Fondo pari a quello per il finanziamento di interventi a favore
dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione di
giovani e donne, istituito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
e affidato all'INPS per l'anno 2012, che per assunzioni a tempo determinato
prevedeva 3mila Euro per ogni assunzione con durata NON inferiore a 12 mesi,
fino ad un massimo di dieci contratti per ciascun datore di lavoro.
Tale premio di 3mila euro potrà essere
elevato:
- a 4mila euro, quando la durata del
contratto a tempo determinato supera i 18 mesi;
- a 6mila euro, se la durata del
contratto a tempo determinato supera i 24 mesi.
Il datore di lavoro che stabilizzi la
lavoratrice (trasformando il contratto a tempo determinato in uno a tempo
indeterminato) potrà avvalersi di un contributo pari a 12mila euro, fino ad
un massimo di dieci contratti per ciascun datore di lavoro (Fonte: Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle
Finanze, Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2012, decreto
interministeriale del 5 ottobre 2012).
Infine, le aziende che prolungheranno i
contratti a tempo determinato in scadenza alle lavoratrici madri, secondo le
modalità qui proposte, potranno avvalersi di un Marchio di qualità di
Responsabilità Sociale d'impresa (RSI: tipologia SA 8000) che si completerà
con la programmazione di iniziative pubbliche territoriali, volte alla pubblicizzazione
del marchio e a dare visibilità alle aziende che lo hanno acquisito, con
l’istituzione di un riconoscimento annuale per le aziende che si saranno
distinte per l’attenzione alle tematiche sociali e con l’individuazione di
incentivi e sistemi di agevolazione per eventuali affidamenti pubblici ad
aziende in possesso del marchio di qualità sociale (come da comunicazione del 25 ottobre 2011 n. 681 della Commissione
Europea).
PROTEZIONE DELLE VITTIME DI VIOLENZA E ALTRE FORME DI AIUTO
MISURE SPECIFICHE
1 - Modifica del comma 2 dell'Art. 1 T.U. di
pubblica sicurezza. Di conseguenza «Per mezzo dei suoi ufficiali, ed a richiesta delle parti, provvede alla bonaria composizione dei dissidi privati» diviene: «Per mezzo dei suoi ufficiali, ed a richiesta di tutte le parti e non solo di alcune di esse, provvede alla bonaria composizione dei dissidi privati»;
2 - costituzione su tutto il territorio
nazionale di Centri Antiviolenza qualificati e debitamente finanziati, per
rendere capillare l’assistenza alle donne vittime di violenza;
3 - istituzione degli Albi regionali
dei Centri Antiviolenza, da più parti richiesti;
4 - individuazione delle qualifiche e
dei criteri di trasparenza personale e associativa necessari per l’icrizione
agli Albi;
5 - istituzione della Rete ufficiale
dei Centri Antiviolenza;
6 - ratifica della Convenzione del
Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei
confronti delle donne e la violenza domestica (Istanbul 2011), sottoscritta
dall’Italia il 27.09.2012;
7 - adozione di piani d’intervento
nazionali e regionali durevoli, cui corrispondano finanziamenti costanti.
La maggior parte dei Centri esistenti
sopravvive grazie al volontariato femminile. Allo stato attuale vi sono
ottimi Centri che ricevono finanziamenti pubblici e ottimi Centri che non ne
ricevono, pessimi Centri che li ottengono ugualmente e pessimi Centri che
fortunatamente non ne godono. Il risultato è la limitazione delle possibilità
d’intervento e il dilagare di sfiducia e discredito, problema che va risolto
alla radice.
Occorre disporre dunque di certezze,
consistenti nella garanzia fornita dalle qualifiche e dall’integrità etica
del personale impiegato nonché dalla sufficienza e regolarità dei
finanziamenti, che consentano la copertura delle spese vive e la giusta
retribuzione di tutto il personale operativo che si pretende sia qualificato.
A chi affidare la garanzia delle
qualifiche, chi dovrà fare formazione?
Sicuramente non strutture di
qualsivoglia tipo senza alcuna esperienza in questo campo, ma solamente quei
Centri Antiviolenza che siano più anziani e accreditati e pertanto capaci di
trasmettere da donna a donna il senso dell'appartenenza di genere e la
solidarietà fra le donne, principi ineludibili e fondanti di tale
delicatissimo lavoro, che annovera tra gli obiettivi da raggiungere il
risanamento delle ferite dell’io e la reintroduzione delle vittime di
violenza nell’ambito sociale e lavorativo.
Riteniamo che per essere considerato
qualificato un Centro Antiviolenza debba rispondere alle seguenti
caratteristiche:
- avere alle spalle almeno 3 anni di
curriculum come associazione di promozione dei diritti delle donne;
- disporre di un congruo numero di
avvocate, ginecologhe, psicologhe e pedagogiste (che siano iscritte e non
esterne, ovvero di puro riferimento);
- avvalersi esclusivamente di
operatrici e specialiste che siano state adeguatamente formate;
- garantire criteri di assunzione
corrispondenti a quelli vigenti per l’assunzione di insegnanti statali in
merito a condanne penali. Ciò per tutto il personale che vi opera, dato il ruolo
di responsabilità che compete.
8 - A quanto sopra enunciato occorre
aggiungere:
- la costituzione di Centri di Aiuto
per uomini “in bilico”, che offrano la possibilità di fruire di aiuto
psicologico mirato a coloro che lo richiedano. Tale aiuto deve essere
prestato anche nelle carceri a quei soggetti in stato di detenzione che ne
formulino richiesta, ma non può costituire mezzo per una riduzione della
pena;
- l’istituzione dell’Albo dei Centri di
Aiuto per uomini “in bilico” nonché la determinazione di modalità, competenze
e criteri per i finanziamenti di tali Centri, non dissimili da quelli
enunciati al punto 4.
COMPETENZE
DELLE FORZE DELL’ORDINE E ATTIVITÀ GIUDIZIARIA
MISURE SPECIFICHE
1 - Istituzione di corsi di formazione
e di aggiornamento obbligatori per le forze dell’Ordine che debbano o possano
entrare in contatto con le vittime di violenza.
2 - Incremento numerico della
componente femminile delle forze dell’Ordine addette al soccorso delle
vittime nonché all’accoglimento delle denunce.
3 - Previsione normativa: i
provvedimenti giudiziari (ammonimento e/o allontanamento immediato) devono
scattare alla prima denuncia di violenza fisica e/o psicologica. Sin
dall’atto della prima denuncia, deve essere immediatamente allertato il
centro antiviolenza che sia territorialmente competente.
4 - Aggiornamento della magistratura e
Istituzione di Tribunali specifici (come in Spagna), con avvocati e giudici
adeguatamente formati in materia.
TUTELA DELLA SALUTE PSICOFISICA DELLE DONNE
INDICAZIONI
1 - Occorre ridare dignità e mezzi ai
consultori pubblici esistenti nel territorio e favorire la nascita di altri.
Gli interventi di prevenzione e tutela
di salute delle donne sono molteplici e non riguardano solo la fase
riproduttiva; le patologie post menopausa, a causa dell'allungamento della
vita, rappresentano un grosso problema da affrontare. Bisognerà di
conseguenza creare politiche di prevenzione e di cura mirate, da individuare
con l’aiuto di specialiste e specialisti di ginecologia e geriatria.
Perché i consultori pubblici funzionino
realmente occorre che siano aumentati gli stanziamenti economici, affinché
non soltanto se ne possa incrementare il numero ma non vi sia fuga di
personale medico, determinata da retribuzioni inadeguate.
2 - Vanno varate opportune misure di
contrasto all’obiezione di coscienza, per la salvaguardia della piena
applicazione della Legge 194.
INSERIMENTO
NEL TERRITORIO DELLE DONNE MIGRANTI
INDICAZIONI
Vanno studiati provvedimenti specifici
atti a promuovere l’inserimento di quelle donne migranti, che provengono da
taluni Paesi nei quali i diritti e le libertà delle donne non hanno avuto fin
qui riconoscimento. È ben noto come a talune immigrate di prima generazione
sia spesso impedito da mariti, fratelli e talora anche da madri una partecipazione
attiva alla vita sociale nel territorio. Occorre dunque promuovere iniziative
atte a coinvolgere le donne migranti che versino in tali condizioni,
neutralizzando, con accorgimenti opportuni, le azioni d’impedimento
familiare.
Impedire la libertà di frequentazione e
socializzazione rappresenta una pratica violenta. Il Dipartimento per le Pari
Opportunità - cui un ruolo molto ampio è stato conferito dalla Legge 9
gennaio 2006, n. 7 concernente la prevenzione e il divieto delle pratiche di
Mutilazione Genitale Femminile - potrebbe svolgere tramite i Comitati per le
Pari Opportunità un’azione efficace e capillare, per garantire alle donne
migranti le stesse libertà, pur imperfette, già conquistate dalle donne
italiane.
AMBITO
POLITICO, contro l’emarginazione delle
donne dalla rappresentanza politica e dalle più alte cariche dello Stato
RAPPRESENTANZA POLITICA
Un Paese che emargina le donne NON È un
paese democratico.
Da qui la proposta del 50/50 con doppia
preferenza di genere nelle liste per una vera e propria democrazia paritaria,
da realizzarsi con presentazione di liste che prevedano la stretta alternanza
dei generi e un numero di candidature femminili pari al 50% dei candidati.
Nello specifico appare necessario:
1 - presentare un egual numero di donne
e di uomini quali capilista;
2 - presentare candidature femminili
nel 50% dei collegi ritenuti conquistabili;
3 - promuovere le candidate attraverso
adeguate campagne di informazione al fine di favorire la democrazia
paritaria;
4 - presentare nei “listini” o nelle
liste bloccate candidate e candidati in ordine alternato per favorire la
elezione di una consistente percentuale di donne;
5 - far conoscere i criteri di scelta
delle candidate e dei candidati;
6 - assicurare nelle tribune elettorali
televisive la presenza paritaria delle candidate e dei candidati, nel
rispetto delle nuove norme introdotte dall’articolo 4 della legge 215 del
2012 e del regolamento approvato dalla Commissione di vigilanza;
7 - rendere pubblico come sia stata
realizzata l’utilizzazione della quota dei rimborsi elettorali, destinata,
come prevede la legge n.157/99, a promuovere la presenza delle donne in
politica. Rendere pubblici i criteri di scelta e CV di tutte le candidate e i
candidati, di qualsiasi partito o movimento o lista (Rif: Accordo di azione comune per la democrazia paritaria).
ALTE CARICHE DELLO STATO
Per un mutamento degli schemi
discriminatori che permangono ancora irrisolti nella nostra disturbata
cultura, occorre agire e sui cancelli di sbarramento pratici e altresì su
tutti i MODELLI SIMBOLICI.
Ciò vale per il linguaggio - che
sopprime nei plurali il femminile, eliminando la reale esistenza delle donne
in omaggio a una distorta visione maschile del mondo; vale per la cellula
familiare, dove tale obiettivo va perseguito in primo luogo attraverso la
modifica del cognome della prole; vale per la cellula sociale pià ampia, la
COMUNITÀ, che è sostanza del nostro Paese.
Di conseguenza, riteniamo non più
rinviabile che Capo dello Stato italiano sia una Donna. Solamente il
presupposto discriminativo nei confronti del genere femminile, infatti, può
spiegare come mai sino ad oggi, in tanti anni di dichiarata Democrazia, non
vi sia stata nemmeno UNA sola donna Presidente della nostra Repubblica.
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Milano, 4.02.2013
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Progetto
ed elaborazione del documento: © Iole Natoli con
la collaborazione di Adriana Perrotta, Ilaria Tarabella,
Teresa Pezzi
Proposte/Obiettivi
di:
Iole Natoli, Adriana Perrotta, Teresa
Pezzi, Ilaria Tarabella e
di: Elisabetta Boiti, Alessandra Ciotti, Marcella Corsi,
Emanuela Eboli, Barbara Giorgi, Antonella Panetta, Chiara Pesce
Hanno
partecipato con discussioni nel gruppo di FB:
Danila Baldo, Luciana
Bova, Maria Esposito,
Cinzia Marroccoli, Raffaella Mauceri, Maria Grazia Negrini, Ambretta Occhiuzzi, Nadia Ruggieri
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Dal gruppo omonimo di FB, nato quale progetto di lavoro per l'elaborazione di proposte politiche
lunedì 4 febbraio 2013
Titolo 2 - MISURE DI CONTRASTO ALLA DISCRIMINAZIONE DI GENERE
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